Ecco l’antichissimo contrasto tra contado e città, che fino agli anni ’60 del secolo scorso tutti conoscevano e cantavano animosamente nelle campagne toscane. Non a caso, perché è tutto dalla parte dei contadini.
IL FIORENTINO E IL CONTADINO
Andetti a Firenze pe’ combinazione
in una trattoria a desinare
dove c’eran dimolte persone
e un po’ ristretti ci convenne stare
Tra due di questi nacque una questione
che piu’ d’ un’ora la fecen durare.
Eran seduti a me vicino,
un di Firenze, l’altro di’ Casentino.
– Come tu puzzi, – disse i’ fiorentino
a i’ contadino – e poi la testa china,
mi fai vomitare i’ pane e i’ vino
la bistecca e pure la tacchina.
O porco sudicion d’un contadino
tu se’ più lercio te d’una latrina,
a casa certo l’acqua tu ce l’hai
villan fottuto, un tu ti lavi mai!
– Vedo te con tutto qui’ lavar che tu fai
con l’acqua di crusca e saponetta
e tutti quell’odori che ti dai
dai fondamenti su fino alla vetta,
certo la vita tua terminerai,
non se’ capace a contentare la Giannetta
non hai i’ fiato neppure pe’ parlare
dimmi, icché ti conta i’ tu’ lavare?
– Se fossi la giustizia vorrei fare
de’ contadini tutta una brancata,
ni’ porto di Livorno li vorrei portare
là dove giunge ogni fregata
e dentro il mare li vorrei buttare
pe’ levare questa setta tribolata
e finché il canal ne fosse pieno
senza pietà’ e senza rimorso in seno.
– Sta’ zitto fiorentin, parla di meno,
già vedo ben che t’hai perso i’ cervello
i’ contadino lavora i’ terreno,
e custodisce la pecora e l’agnello,
raccoglie i’ frumento, biada e fieno,
e custodisce i’ bue ed i’ vitello
l’arte di’ contadino l’è un talento
che serve a procurarti i’ nutrimento
– Io co’ contadini un mi cimento
ché il contadino quando parla pecca
se tasti là sotto i’ mento
fra quella po’ di barba c’è ‘na zecca,
dai più fastidio che d’inverno i’ vento,
guardalo colla lingua i’ piatto lecca,
e alla mensa in do’ mangiate voi
ci mangia pecore, maiali, vacche e buoi.
– I contadini biasimar tu vuoi
ma dalle spine nasce i’ bel rosaio,
se leggi il libro degli antichi eroi
vi trovi Giotto che era un pecoraio,
lui badava agli animali suoi
senza d’innanzi nè tizio né caio,
prese una lastra bianca e poi su quella
dipinse la figura dell’agnella
‒ Guarda sto’ grullo cosa mi favella,
lo sai parlar di Giotto un ti conviene,
natura gli donò la virtù bella
un’era un mammalucco come tene,
quello che fece lui un si scancella
e come ha fatto lui va tutto bene,
a chi ti paragoni montanaro
un se’ capace di da’ da be’ a i’ somaro.
– Certo che un son capace e un’imparo
perché i’ ciuco un’è la mia compagnia,
ma l’ho trovato oggi qui per caso raro
a desinar con me in questa trattoria,
oste vien qua prendi i’ denaro,
ti lascio i’ posto libero e vo’ via,
dimolte miglia ho da fa’ di strada,
pago da bere a i’ ciuco e un mezzettin di biada.
– O villan d’un contadino bada!!
io metterò d’accordo tutti i fiorentini
ci metteremo alla porta con la spada
e proibirem l’ingresso a’ contadini,
e valsivoglia vada come vada,
sian di monti e campi e d’ appennini,
sian di colli, di colline o valle
li manderemo nei loro campi e stalle.
‒ Quando avrem pieni sacchi, ceste e balle
d’ogni genere e frutto e d’ogni seme,
le belle pesche saporite e gialle e ogni raccolto che al contadino preme,
que’ salami e que’ prosciutti e spalle
fra noi villani mangeremo insieme,
e i tacchini, e’ galletti e le pollastre…
E tu in Firenze mangerai le lastre.
Alla fine del contrasto poi non mancava mai questo ritornello che veniva cantato salendo di tono e con più sentimento, quasi un’imprecazione contro i Fiorentini:
– Fiorentin mangiafagioli,
leccapiatti e tovaglioli…
E per farla più pulita,
si leccava anche le dita.
Sottoterra un c’è i quattrini,
accidenti a’ Fiorentini”.

