Il Giubileo e i pellegrini ieri e oggi

In occasione dell’Anno Santo tanti pellegrini si sono messi e si metteranno in viaggio per oltrepassare le Porte Sante. Ma che voleva dire essere un pellegrino ieri? E oggi? E’ quanto ho cercato di tratteggiare nel mio libro in uscita nei prossimi giorni dal titolo “Ultreya e Suseya! Il Giubileo e i pellegrini, ieri e oggi”.

Deh peregrini che pensosi andate
forse di cosa che non v’è presente,
venite voi da sì lontana gente,
com’a la vista voi ne dimostrate…

Così il Sommo Poeta rendeva riverente omaggio ai compunti pellegrini che passavano a schiere diretti a Roma per il primo Giubileo.  Con la riscoperta degli antichi percorsi dei pellegrinaggi, in tanti oggi marciano sui sacri cammini e sui social sono sorti come funghi tanti siti dedicati ad essi e con un largo seguito. Con grande enfasi si definiscono tutti pellegrini e ne vanno fieri. In verità sarebbe più appropriato parlare di escurturismo, perché pellegrini in senso proprio sono quelli che vanno per esempio a Lourdes, e il solo camminare non basta per darsi quel nome.  Ma chiamarsi pellegrino oggi fa tendenza, rimanda a una persona profonda e problematica, in cerca di sé e del senso della vita. Ma i pellegrini di una volta non cercavano il sé, che neanche sapevano cosa fosse, o nuove esperienze, ed emozioni, o il cammino per il cammino, ma, come dice sempre Dante, erano “coloro che vanno al servigio de l’Altissimo”, vale a dire mettevano in gioco la propria vita (prima di partire si faceva testamento) per la Salvezza dell’anima. 

  Ma neanche allora quella parola aveva sempre una connotazione positiva, perché rimandava a una figura non del tutto raccomandabile.   Il pellegrino infatti era un girovago, un senza fissa dimora, spesso straniero, veniva chi sa da dove ed era chi sa chi, e insomma, come tutti gli sconosciuti inaffidabile. Ancora di più, con l’affermarsi di società cittadine prima artigianali, poi dedite all’industria manifatturiera, valori come il lavoro e la produttività venivano prima di ogni altro, e il pellegrino finiva inevitabilmente per esser considerato un vagabondo, un inutile giramondo, insomma un parassita e un barbone. Da qui viene quel “pellegrino” in senso spregiativo, se non offensivo, che almeno in Toscana si usava, eccome.  Come è capitato a me, durante un’escursione di trekking, lungo la salita da Saline a Volterra, per il tracciato della vecchia ferrovia. A una casa di contadini, un cane di piccola taglia, abbaiava e si fogava insistentemente contro il gruppo sgranato in una lunga fila. Il capogruppo, un Fiorentino col pelo sullo stomaco e senza peli sulla lingua, si rivolse in malo modo al suo padrone: “Allora!  Che gliela tira lei una bella pedata a quell’animale, o gliel’ho a tirare io!”.  L’uomo, che era anziano, sospeso tra il pianto e la rabbia, si è messo a gridare: “Icchée, una pedata a i’ mi ‘anino, poerino?! Maremmaboia, io la pedata e la tiro, ma a voi! “. E poi è esploso: “Vu’ siete proprio de’ pellegrini, andate a casa vostra, andate a lavora brutti perdigiorno!”.

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