Questa poesia, ispirata all’attuale pandemia e alle antiche epidemie della peste nera, è un mio contributo all’Archivio Poetico della Pandemia, una raccolta online curata dal Teatro Verdi di Pisa. E’ indubbiamente molto drammatica e disperante. Io a dire il vero sull’argomento ho scritto anche tre filastrocche giocose per i bambini, che tra pochi giorni saranno pubblicate in un ebook dal titolo “Coronaviro, Coronaviro, io ti frego, leggo un libro”. Ma la vita ha tante facce e non se ne può ignorare nessuna. Come dice l’Ecclesiaste, “C’è un tempo per ridere e un tempo per piangere, un tempo per nascere e uno per morire…”.
Pandemia
Il luogo,
il luogo dove andrò a morire,
col rimpianto di un’ultima alba non vista,
la spina dell’ultimo bacio mai avuto
– Cavalli bianchi d’Apocalisse
squarcian la notte nella pianura,
ulula il lupo e al ciel fiamme sputano
tumidi draghi da lorde cloache,
miete tra i borghi la nera signora –,
una ripida tortuosa strada,
mille spire di verdi serpenti,
lo terran lungi da prete e becchino.
Solo qual volpe a morte ferita,
all’angolo più riposto del bosco avvinghiata,
mi poserò sotto la volta del cielo,
un vacuo specchio che me a me rimanda
– File ordinate alle soglie del niente
a comprar ciò di cui l’uomo non vive;
tremiti e febbre stremano carni,
avvampano salme in funesti bagliori,
corron le strade carri di morte –, –,
senz’occhi lucidi che illudono il cuore
senso a evocare, e vano rimpianto,
ai brevi giorni lasciati per via.
Lungi da schede e cupi alambicchi
ed ombre chine in camice bianco
che anime intubano e numeran cuori
e il pianto sedano in un chimico oblio
– Rimbomba il vuoto per le contrade,
sorci nell’ombra rodon cadaveri;
trame di asfalto mute e deserte
sul corpo mutilo della terra matrigna
un senso chiedono a metalliche sfingi –,
canterò il canto del lupo che muore,
il grido, io grido, di chi più non grida.
Tra mosche insonni e pupille di stelle,
di sgomento e rabbia fatto vasello,
per una vita scoccata altrove,
quando non c’ero, non chiesi, e non volli,
che un nonnulla e un non senso ricaccia,
sputerò sangue contro il fascio di spine
di quel Caino, di cui portar peso non voglio,
verso una luna, cieca o perversa.
