Fina da San Gimignano

FINA DA SAN GIMIGNANO, la fede che vince la carne

Il 12 marzo è la ricorrenza della morte di Santa Fina, patrona di San Gimignano. Fina de’ Ciardi, figlia di nobili decaduti, era nata nella città dalle belle torri nel 1238.  Dalla “Historia”, scritta una cinquantina di anni dopo la morte, si apprende che la fanciulla, consacratasi fin da piccolissima all’amore di Gesù, si era ritirata in casa con la madre a fare penitenza ed usciva solo per andare a messa. Ed anche in quelle circostanze sempre camminava a testa bassa, con gli occhi fissi ai piedi, per non essere contaminata dalle impurità del mondo. E affliggeva il suo corpo con digiuni e domava le sue membra col cilicio, e sempre pregava o lavorava con le mani per non cadere nelle tentazioni dell’ozio. Non so quanto sia attendibile questa narrazione del frate domenicano del ‘300, ma se si esce da questa logica religiosa la storia perde ogni senso. All’età di dieci anni – e questo è confermato da tutte le fonti – proprio affinché potesse giungere alla somma perfezione (le parole sono del biografo) fu colpita da una gravissima infermità che la rese paralizzata in tutto il corpo, tranne la testa.  Lei non solo non ne fu sconvolta, ma rifiutò ogni comodo giaciglio e si fece stendere sopra una tavola di quercia secca. Lì, sempre sdraiata sullo stesso fianco, essendo l’altro troppo dolorante, rimase fino alla morte (cinque anni!) senza lasciare mai che nessuno la muovesse. E intanto vide la sua carne impiagarsi ed essere invasa dai vermi; ed anche i topi andavano a cibarsi di quella carne putrida. Inoltre, per gli umori emessi dalle piaghe, il suo corpo era rimasto incollato alla tavola, né poteva più in alcun modo staccarsi. Né, pur in preda a forti sofferenzei, mai si rammaricava, e continuava a lodare Iddio col viso sempre lieto ed era di conforto a chi andava a trovarla. Per di più sua madre cadde in casa e morì, senza che lei immobilizzata potesse fare niente per soccorrerla. E ancora una volta si rassegnò paziente ai divini voleri e ringraziava il Signore che le aveva mandato quelle prove come al suo Figlio prediletto Gesù (Beati voi, diceva ancora ai nostri tempi madre Teresa di Calcutta ai malati sofferenti, perché siete stati baciati da Gesù).                                                                                                                              Il 12 marzo del 1253, all’età di quindici anni lasciava questo mondo, e appena ebbe chiuso gli occhi tutte le campane del paese si misero a suonare a distesa da sole, e tutti accorsero. E quel corpo sacro, che tante pene aveva sostenuto per l’amore di Cristo, era rimasto inchiodato alla tavola, seguitando in ciò Gesù che rese l’anima al Padre appeso al legno della croce (così si dice nell’Historia).  Quando poi con grande fatica si riuscì a staccare quel corpo dal legno-croce, dalla carne che era rimasta attaccata al legno spuntarono dei fiorellini che emanavano una celestiale fragranza e che dilagarono per tutta la città ricoprendo mura e torri di un velo giallo-oro.                                                                                                              Da allora, ogni anno, il 12 marzo, con la pioggia o col sereno, le pietre di San Gimignano si ammantano di una coltre di piccole viole gialle che spandono per le vie un alito di primavera. E quando questo non accade non è buon segno per il paese. Tenuta per santa da tutti  già da viva, dopo la morte il suo corpo divenne oggetto di devozione e, e fu venerato per molti giorni prima della sepoltura nella cattedrale.                                                                                                                                Che si può dire oggi di quella schiera di mistiche e sante, vissute tra il due e trecento, protese all’Assoluto, che mortificano la carne e vogliono farsi puri spiriti, angeli in terra?  E che poi, come Fina, finiscono spesso per trovarsi imprigionate in orribili atrocità della materia, quasi una vendetta di quest’ultima, perché questa è la sostanza della condizione umana e al corpo non si può sfuggire. Ma animate da fede, pazienza e forza incrollabile, nella luce e nella forza del loro spirito non ne erano minimamente toccate.                                                                                               Che altro dire? Oggi queste cose paiono fuori dal mondo, di sofferenza non si vuol più neanche sentir parlare, tantomeno di penitenza. E per cosa poi? Ma al loro tempo erano onorate e prese come modelli ideali e esempi di perfezione di vita da seguire.                                                                                                                                 Ogni tempo pensa di essere l’ultimo e l’unico e di aver capito tutto della vita, e si fa beffe di come vivevano quelli che lo hanno preceduto.  Ma fra cinquanta anni (molto prima, visto la velocità dei cambiamenti al giorno d’oggi) si riderà dei nostri comportamenti e del nostro modo di pensare.    A questo serve poi la conoscenza della storia, a far vedere che il mondo non comincia oggi, non è sempre stato così, e cambierà ancora e l’oggi non è che un momento tra i tanti, e la gente non è più furba o  intelligente delle generazioni precedenti. E di fronte allo sfacciato starnazzare delle eroine dell’Isola dei Famosi o di Amici mi pare giusto anche mostrare la pacatezza, il silenzio, la mitezza di Santa Fina.

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