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GINEVRA DEGLI AMIERI
Tra le disposizioni in corso per contenere il contagio del corona virus spicca quella che vieta le cerimonie funebri. Che fa riandare alle pestilenze medioevali, quando i cadaveri venivano portati via in fretta e furia dalle case e sepolti, a volte senza neanche accertarsi che fossero davvero morti. Come nella leggenda di Ginevra degli Amieri, nella Firenze di fine ‘300, nata da un fatto vero, con tanto di documenti e nome delle famiglie. Tanto che la via dove abitava la fanciulla col marito (ora via del Campanile) fu chiamata a lungo via della morta.
Eccovi la storia che un tempo tutti conoscevano e raccontavano in Toscana.
Fanciulla bella come poche altre Ginevra, ancora giovanissima, aveva sposato, contro la sua volontà, come allora era costume, un uomo ricco e potente della famiglia degli Agolanti. Pur amando, in cuor suo, un altro giovane, naturalmente bello ma povero.
Era passato appena qualche mese ed ella, affetta da una gran febbre, cessò di dar segni di vita.
Infuriava allora una tremenda epidemia di peste e il suo corpo, in quattro e quattr’otto, nottetempo, fu deposto nel sepolcro di famiglia.
Svegliatasi dopo qualche ora nel buio della tomba ed in mezzo a caterve di scheletri, fu presa dal terrore e dall’angoscia più nera. Quando ormai stava per lasciarsi andare al suo destino intravide uno spiraglio di luce (la lapide del lavello non era stata ancora murata), e a furia di tentativi, con le mani ridotte a brandelli, con la forza che a volte la disperazione dà, riuscì a sollevarla.
Corsa a casa del marito, in piena notte, pallida e coperta del sudario e diafana per la luna, fu scambiata per uno spirito maligno e cacciata con grandi scongiuri. Né andò meglio alla casa paterna.
Disperata si presentò allora alla casa del giovane che in cuor suo non aveva mai cessato di amare, e che, a sua volta, ne era così innamorato che l’accolse a braccia aperte, viva o morta che fosse.
Così, da una sventura, grande ventura ne sortì per lei: realizzò il sogno della sua vita con l’amato e poté anche sposarlo, in quanto il primo matrimonio era da considerarsi cessato con la morte (finché morte non vi divida:…).
Una storia che pare fatta apposta per stuzzicare paure ed emozioni, come il terrore di esser sepolti da vivi (cosa allora non rara), l’angoscia di non esser più accettati nel mondo dei viventi (come poteva succedere ai lebbrosi), e il finale delle favole “… e vissero felici e contenti”. Arrivata fino ai giorni nostri, ne furono tratte opere teatrali e cinematografiche, come si vede nella locandina.
