Il riciclo, la scoperta dell’acqua calda

In campagna fino a non tanti anni fa i rifiuti non riassorbibili dalla terra erano pari a zero.  Si legavano i covoni di grano con i suoi stessi steli, e le viti con rametti di salice. Per tenere insieme le cose si usavano giunchi, salici, sala, raffia, canapa, vitalbe, paglia, o al più la corda e lo spago. Per proteggere i frutti e la verdura, li si avvolgeva in foglie di fico, o di cavolo, ecc.   La carne la si metteva in quei bei fogli di carta gialla grezza fatti con la paglia.  E nessuno andava a ritirare i rifiuti al contadino, gli avanzi e le cose vecchie  finivano in concimaia e andavano poi a concimare i campi. Anche per trasportare i prodotti della terra e del bosco non c’erano contenitori in plastica, ma si intrecciavano salici, o scope, o vimini, canne, o paglia, sala, ecc. fabbricandosi ceste, panieri, corbelli, canestri, stuoie, canicci, borse, gabbie, ecc. E le botti erano di legno, e i coppi di terracotta. Tutti prodotti della natura lavorati ad arte dagli stessi contadini, tutti immediatamente riassorbibili dalla terra come concime. Senza bisogno di scervellarsi per smaltire rifiuti inorganici che non c’erano, senza il passaggio da alcun riciclo, ma con un ciclo continuo e diretto dalla terra alla terra, come gli alberi e le foglie. Nella foto una gerla usata in montagna per trasportare la legna.

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