C’è poesia e poesia
Nel dopoguerra e poi nel ’68, quando era viva l’esigenza di creare un mondo nuovo, la cultura era impegnata, non solo moralmente, ma anche nella ricerca di strumenti culturali che potessero produrre trasformazioni reali. A partire dagli anni ’70 invece la linea dominante è stata quella del più totale disimpegno, la ricerca di evasione, l’irresponsabilità, in una grande opera di distrazione di massa. Anche la poesia si è ripiegata sull’intimismo, in un egocentrismo cieco e sordo, tutto un lamentoso pigolare “Io… io… pio.. pio” e spesso anche un presuntuoso ragliare “i-oh… i-oh”. In questi giorni che il dramma palestinese sta riesplodendo in tutta la sua drammaticità nel silenzio generale ecco cosa scriveva sulla poesia negli anni 70 il poeta palestinese Mahmoud Darvish.
Sulla poesia
Ieri abbiamo cantato per una stella dietro le nuvole
e alla luna
e abbiamo anche pianto.
Ieri abbiamo incolpato le palme e la luna
e le notti… e il destino,
e ci siamo persi negli occhi dell’amata.
E’ suonata l’ora: Al Khaiam beveva
al suono delle sue canzoni
e siamo rimasti… miserabili;
compagni poeti
è morto il passato,
chi scrive poesie
nel tempo dell’atomica
crear deve uomini che lottano.
I nostri versi senza colore,
senza gusto… senza suono
se non porteranno il lume di casa in casa,
se la gente semplice non li capirà
è meglio bruciarli e stare zitti.
Fossero queste poesie
un martello nel pugno del lavoratore,
una granata nella mano del partigiano,
fossero queste parole
aratro nelle mani di un contadino,
una camicia… una porta… o una chiave,
potessero esserlo!
Dice il poeta:
se le mie poesie faranno felici gli amici,
se faranno arrabbiare i nemici,
allora sono un poeta
e … parlerò.
