“Diversamente giovani”

Considerazioni per la giornata dei Nonni e degli Anziani istituita dal Papa

C’erano una volta i vecchi. Come quelli della foto. Tutti pelle e rughe, ritirati, risecchiti e nodosi come tronchi di ulivo. E non avevano cent’anni, ma, sì e no, un’ottantina. Un’alimentazione carente, il duro lavoro nei campi esposti al solleone e a tutte le intemperie, i numerosi figli, le malattie, avevano scavato quelle facce.  Erano e si sentivano vecchi: portavano sulle spalle il peso degli anni, ma anche la saggezza e l’esperienza accumulata. Avevano il ruolo di guide, stavano sulle loro poltrone di canna come su un trono da dove dispensavano consigli, sentenze, proverbi.  Erano rispettati e considerati per la loro vecchiaia (gli si dava del voi). Mia nonna, contadina che non aveva potuto imparare neanche a leggere e scrivere, contestava con fierezza me studente universitario dicendo: “O che mi vuoi dare a intendere, che Cristo morì da i’ sonno?”, oppure: “Fa’ conto che sia il Vangelo!”. Forte e sicura di sé e della sua sapienza appresa dalla vita e ereditata dagli avi, dignitosa e piena di maestà.

Oggi i vecchi non ci sono più. Facce così ben difficilmente se ne vede. Altri tipi di lavoro, altra alimentazione e i progressi della medicina hanno migliorato la situazione. Sì, oggi la gente invecchia molto meno e soprattutto non vuole invecchiare. Trionfa il mito dell’eterna giovinezza, la gioventù come solo modello di vita possibile, normalità, punto di riferimento per tutte le età. Anzi, si offendono se li chiami vecchi, si definiscono (o sono definiti) “diversamente giovani”. E inseguono affannosamente i giovani, nel vestire e negli stili di vita, nel tempo libero come nelle attività quotidiane. L’esperienza da loro maturata non vale più niente, conta solo l’ultima moda, l’ultima trovata tecnologica, l’ultimo social. La loro eventuale sapienza non fa più testo, è solo una zavorra di arretratezza e disinformazione, per la cecità di un presente che tratta la storia passata come ignoranza e sottosviluppo.

 E allora si vedono i nonni a rimorchio dei nipoti, burattini affannati e sempre inadeguati di un teatrino di cui i giovani tengono i fili, poveretti che vogliono farsi in qualche modo accettare dai nipoti cercando di fare quel che non possono saper, in cui i ragazzi sono mille volte più efficienti. Vecchi trascinati qua e là e strapazzati dai bambini, persone che hanno perso ogni identità e autonomia, che non sono più né carne né pesce. Diversamente giovani, appunto, che giovani non possono esserlo, perché la natura fa il suo ciclo, e sono solo esseri disorientati, confusi, spesso anche ridicoli, in attesa di finire in discarica, con le montagne di giocattoli e articoli tecnologici subitamente obsoleti di questa autodistruttiva società.      

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